Vi ricordate il vecchio modo di dire: "non si giudica un libro dalla copertina"?
L'avrete sentito tutti almeno una volta nella vita, questo è certo!
Come saprete, se avete letto altri articoli di questo blog (rinfrescatevi la memoria QUI), io ho un rapporto conflittuale con le copertine dei libri e sono completamente d'accordo con quel vecchio modo dire (se poi dovremmo guardare le copertine delle edizioni italiane siamo messi bene!!).
A volte però mi piace rischiare e comprare (o, come in questo caso, farmi regalare) libri basandomi solo sulla copertina, è il caso di ASSURDO UNIVERSO di Fredric Brown.
Colpito da questa copertina, in puro stile Amazing Stories degli anni '50, prendo in mano questo libro, leggo il trafiletto sul retro e decido che vale i 10€ che costa.
Inizio a leggerlo e la prima impressione che ho avuto è stata di aver abboccato all'antico dogma commerciale: copertina bella = libro brutto.
Cocciuto come sempre però insisto ma le cose non sembrano migliorare.
Ok, è un libro scritto negli anni 50 (1949 per la precisione) e quindi è facilmente comprensibile che la fantascienza trattata sia molto più fanta che scienza (questa espressione l'avevo già usata) ma tutto mi sembra troppo stereotipato. I personaggi, le ambientazioni, i fatti narrati, tutto ha un sapore di già visto.
Ed infatti, nell'introduzione di Giuseppe Genna, il lettore viene messo in guardia di questo.
Allora la cosa va presa in maniera diversa, mi sono detto, come quando lessi La Macchina del Tempo di H.G. Wells, bisogna contestualizzare il romanzo e vederlo sotto un punto di vista differente.
La storia tutto sommato è godibile e se si riesce effettivamente a scavare quello strato di "già visto" si possono notare tanti piccoli dettagli che provano la genialità dell'autore.
La parte centrale del racconto sta nel disorientamento del protagonista in questo nuovo mondo in cui si trova, il tutto è descritto in maniera molto umoristica ma nasconde il grave problema della incomunicabilità tra persone provenienti da un background diverso.
La cosa, oltre a far pensare ai problemi che ne possono derivare, è attualissima e ci si scorda completamente che è un romanzo scritto più di 60 anni fa!
Ma il vero tocco di genio, secondo me, sta nel finale che, anche se ho trovato frettoloso rispetto alla parte iniziale e centrale del libro, non è per nulla banale e anzi favorisce diversi spunti scientifici, anche se sempre molto fantasiosi, e va a spiegare il senso di stereotipazione presente in tutto il romanzo.
Per spiegarlo sono costretto a rivelarvi, almeno in parte, la trama:
Keith Winton è il direttore di una pulp magazine fantascientifica in cui cura anche l'angolo della posta. Uno dei suoi lettori più accaniti, Joe Doppelberg, gli ha inviato l'ennesima lettera polemica e ricca di consigli su come poter migliorare la rivista.
Proprio mentre Keith sta rimuginando sull'universo che ha in mente il suo lettore viene colpito da un'esplosione elettrica dovuta ad un missile, destinato alla luna ma precipitato nella tenuta del suo datore di lavoro dove lui è ospite per il week end, e si ritrova in un universo parallelo al suo, per certi tratti molto simile e per altri completamente diverso.
Alla fine, l'intelligenza artificiale Mekky, spiegherà al nostro Keith che esistono infiniti universi che differiscono l'uno dall'altro anche solo per un minimo dettaglio (colore dei calzini indossati in quel momento, per esempio) e che qualsiasi cosa viene immaginata non è altro che una proiezione di uno di quei infiniti universi paralleli (esisterebbe dunque un universo in cui Huckleberry Finn fa esattamente ciò che ha descritto Mark Twain e altri infiniti in cui fa qualsiasi altra cosa.)
Keith infatti è finito in questo specifico universo, dove Doppelberg è l'eroe della guerra interplanetaria (Dopelle), perché nel momento della transizione stava immaginando quell'universo, ma non per questo motivo è meno reale del suo.
Non posso far altro che consigliarvi la lettura di questo libro (ve la cavate con 188 pagine).
Io vi saluto e vi ringrazio per essere passati di qua. Ciao!
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